Associazione 25 aprile | Incontro con le classi quinte di Barberino del Mugello
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Incontro con le classi quinte di Barberino del Mugello

Incontro con le classi quinte di Barberino del Mugello

di Anna Sarfatti

 

Ieri, 11 aprile 2017, è stata proprio una bella mattinata. Fresca e corroborante.

Grazie a ANPI di Barberino in collaborazione con la scuola, ho incontrato più di 80 bambini e bambine accompagnati dai loro insegnanti. L’aula che ci ha accolti era spaziosa e luminosa. Alle pareti i lavori delle classi sulla Costituzione.

Siamo entrati subito nel vivo del nostro tema guardando due brevi video sull’articolo 2 e sull’articolo 4 realizzati da due scuole di Sarzana.

Volevo invitare i bambini a sentirsi parte di un dialogo a distanza tra coetanei sulla Costituzione.

Che cosa vi ha colpito delle scene che abbiamo visto? – ho chiesto.

  • Il bambino che ha fame, non è giusto… tutti dovrebbero avere da mangiare
  • Il bambino che lo prendono in giro perché si chiama Walter e lo chiamano Water
  • La bambina che una macchina le sta per andare addosso
  • I bambini che cuciono i palloni e non possono andare a scuola
  • Il bambino che non si intende di calcio e gli altri lo prendono in giro

 

Ecco, quindi, i nostri argomenti presentati con le loro parole: giustizia, rispetto, protezione, uguaglianza, pari opportunità, regole, diritti e doveri. I temi della Costituzione messi a confronto col vissuto dei bambini.

Perché noi siamo qualcosa… – rivendica una di loro, con una punta di incertezza che chiede conferme.

Proprio perché hanno bisogno di conferme, vivono un’identità ancora in via di strutturazione, si sentono spesso dire che sono cittadini del futuro (mentre sono già cittadini del presente!!!) è importante e necessario che diamo loro gli strumenti utili a conoscere i loro diritti e i loro doveri, le regole e le istruzioni di quello che ho definito per loro il G.G.C., il Grande Gioco della Cittadinanza, a cui tutti partecipiamo.

E’ perché si sentono ancora più fiori e frutti che fusto e radici che dobbiamo raccontargli chi sono, quale storia li ha portati fin qui. Ma dobbiamo anche imparare ad ascoltarli, perché loro “sono”, hanno grande sensibilità e voglia di comunicare.

A partire dalle loro definizioni di diritto e dovere, abbiamo parlato dei diritti che a volte sembrano non corrispondere a un bisogno o a un desiderio, tipo la scuola… Che fatica! Poterne fare a meno! – ammette qualcuno di loro.

Ma di fronte alla provocazione: E se tu trovassi un cartello sul portone della scuola che dice che non sei accettato a scuola?

Allora no! – si risente l’interessato. Perché la scuola è un diritto, anche io ho il diritto di imparare come gli altri!

Colgo lo spunto per parlare delle leggi antisemitiche del 1938 che hanno espulso da scuola studenti e insegnanti ebrei. Tra questi mia madre. Rifletto con loro sul fatto che ad espellere queste persone da scuola sia stata una legge, proprio quello strumento a cui noi in genere guardiamo con fiducia perché nato per regolare una pacifica e ordinata convivenza. E allora invito i bambini a stare comunque sempre all’erta, pronti a valutare leggi e regole, ad essere cittadini attivi.

Giochiamo un po’ sul diritto di andare a scuola e sul dovere di studiare. Gli leggo una mia poesia e loro si lasciano coinvolgere.

Lo Stato si impegna a dare a tutti la scuola obbligatoria e gratuita.

Ma se si paga! – commenta qualcuno.

Mi spieghi come funziona la scuola privata? – aggiunge.

Belle domande, attuali, di chi vuole capire come funzionano le nostre cose.

Insisto sul rapporto di complementarietà tra diritto e dovere, perché temo la semplificazione sempre in agguato. Gli racconto un episodio che mi è accaduto qualche tempo fa e che mi ha fatto capire come l’esercizio del proprio dovere non possa fare riferimento a una “ricetta”, ma implichi sempre un atto di intelligenza: cosa devo fare, cosa posso fare in questa situazione? A volte, ad esempio, di fronte a un incidente, posso essere di aiuto se non sono di intralcio ai soccorsi che altri stanno prestando. Altre volte invece devo essere io ad attivarmi e a risolvere direttamente i problemi. Essere cittadino vuol dire quindi vivere le situazioni con presenza, intelligenza, capacità di scelta.

Avendo chiamato in causa la scuola, e poi l’ospedale e altri servizi, li invito a dire come fa lo Stato a erogare questi servizi attingendo al suo grande salvadanaio: chi riempie quel salvadanaio? Finalmente c’è chi suggerisce che siano i cittadini a contribuire con le tasse, che sono versate in ragione delle proprie possibilità.

Propongo un caso da discutere insieme: un regalo da portare a un amico in ospedale, un album di figurine. Chi non ha possibilità di acquistare figurine come si comporterà?

  • Gliele possono dare gli altri, così le mette anche lui! – suggerisce un bambino.
  • Può fare dei piccoli servizi per guadagnare qualcosa e comprarle! – un altro.
  • Non le mette e va bene così.
  • Può portare l’album al malato.
  • Può attaccare le figurine.
  • Possono anche cambiare idea e fare un regalo alla portata di tutti.

Sottolineo e rilancio quest’ultima risposta. Passare dall’io al noi implica mettersi nei panni degli altri, immaginare cosa si sente e come si ragiona al loro posto, diventare persone plurali fino ad essere disposti a rivedere scelte e programmi.

Dalla diversità dovuta alle condizioni sociali passiamo a parlare delle differenze di genere, se e in che modo condizionano i bambini.

Diverse bambine raccontano il proprio disagio provato giocando con i Pokemon, dai più considerati come gioco maschile. Tanto da vergognarsi a parlarne con i compagni.

Io no – testimonia una bambina – io gioco a calcio e non me ne vergogno.

E tra i maschi c’è chi racconta di vivere serenamente la propria scelta di frequentare un corso di ginnastica artistica (che quindi è considerata uno sport femminile).

Non resisto alla curiosità di intervistarli sulla loro disponibilità a pensarsi da grandi in qualche ruolo politico di rilievo: sindac*, assessor*, ministr*, president* della repubblica. Chiedo prima alle femmine e poi ai maschi: si alzano poche mani, non c’è differenza di risposta tra maschi e femmine. Una bambina spiega di non voler ripetere l’esperienza della mamma, assessore, perché la mamma è sempre fuori e può dedicare poco tempo alla famiglia. Un bambino racconta di ritenerlo un ruolo ingrato, perché è quasi impossibile accontentare le persone e c’è da sentirsi sempre criticare.

Purtroppo il tempo scorre e non c’è tempo di approfondire. I bambini hanno preparato delle domande che vertono specialmente sulle mie esperienze di scrittrice ed è giusto che risponda alle loro curiosità.

E’ stato un piacere confrontarmi con loro. Le due ore che avevamo a disposizione sono volate.

Mentre i pensieri e le emozioni quelli no, spero che li accompagnino, almeno per un po’.